From Padule to Pozzarello

Era uno di quei giorni in cui sembra che stia sempre per mettersi a piovere. Passeggiavamo intorno alla riva del laghetto dietro casa, cercando di ricordare perché fossimo usciti. Ci sedemmo sul gradino più alto delle scalette di accesso al pontile e rimanemmo a guardare il tempo immobile. Riparandoci da qualche folata di vento che alzava la polvere di quelle sabbie inviolate, sedevamo riflessi, non troppo vicini, sulle acque stagnanti e increspate. A stento potevo scorgere i nostri occhi gonfi di stanchezza, e quella palude ci stava mettendo di fronte un nuovo oblio. Non riuscivamo a smettere di passeggiare e, nel silenzio, di scorgere migliaia di stranezze. Avresti voluto combattere contro i mostri verdi, ma il fango sotto le nostre suole era anche sopra i nostri occhi. Cercavamo ristoro, rispecchiando il disastro nella natura in cui eravamo finiti. Ci dichiarava la sua vittoria, negli sporadici attacchi della sua fauna, disturbata dal frusciante avanzare dei nostri passi.

Eravamo in un luogo di un altro tempo. La palude era ancora quello che immaginavamo. Seguiva perfettamente il suo ciclo vitale, nonostante i ripetuti attentati dell’avanzare di specie diverse.

Per qualche istante abbiamo pensato che fosse lecito emozionarsi di fronte a quel decadente paesaggio putrido, Poi... siamo stati distanti, come i nostri riflessi. Fantasticavamo... di cose diverse... Ognuno preso dai suoi torpori.